Il signor David C. Mulford è formalmente l'ambasciatore americano in India.
Negli ultimi due anni, tuttavia, ha fatto di tanto in tanto dichiarazioni pubbliche in cui lasciava intendere che si considera più un viceré neoconservatore che un ambasciatore tenuto a funzionare entro i parametri di un protocollo accreditato.
La sua più recente osservazione gratuita, fatta l'altro giorno in una riunione della Camera di commercio indoamericana a Delhi, tuttavia, lo presenta per quello che è veramente, vale a dire, punto di riferimento per gli interessi aziendali americani.
Naturalmente, nella misura in cui lo stato americano guidato dai neoconservatori e gli interessi aziendali sono la stessa cosa, Mulford non può essere criticato per aver confuso i ruoli apparentemente distinti.
Nel suddetto discorso, l'uomo di punta ha rimproverato quello che immagina, forse non eccessivamente, lo Stato indiano “cliente” per la “pausa nel processo di riforma negli ultimi mesi”; poi pontifica: “la privatizzazione ha fermato , e la realtà politica suggerisce che la riforma dei settori chiave e delle politiche di interesse centrale per gli investitori richiederà più tempo del previsto.” (enfasi aggiunta). Inutile dire che il “previsto” deve fare riferimento alle ingiunzioni degli imperialisti di Washington.
Ricordiamo che a gennaio il viceré Mulford aveva minacciato il governo municipale indiano che il tanto apprezzato accordo nucleare indo-americano sarebbe “morto” al Congresso americano se l’India non avesse votato contro l’Iran sulla questione nucleare nella riunione del consiglio dell’AIEA. . Tutto in linea con la dura storia di frontiera (sic) della “democrazia” più sfacciata e poco sottile del mondo.
In un senso importante, però, Mulford non è da biasimare. Dopotutto, le “migliori” menti politiche dai tempi di Confucio hanno insegnato solo una lezione sulla diplomazia interstatale: se non prendi a calci coloro che sono disposti a essere presi a calci, potresti anche stabilirti a Shaolin e curare la tua anima.
Nel suddetto incontro, un membro molto anziano del gabinetto indiano – che non sorride mai in modo così evidente come quando stringe la mano a qualche importante dignitario americano – ha prontamente risposto assicurando che le riforme erano qui per durare. Il fatto è che tutta una serie di processi problematici chiamati “democrazia” dovevano essere propiziati di tanto in tanto e portati avanti in modo reale.
corso compradore. Proprio come in precedenza, l’avvertimento di Mulford non era rimasto inascoltato; L’India, ricordiamo, aveva votato contro l’Iran, non una ma due volte, tutto nell’“interesse nazionale”. Lasciamo che non venga detto quale sia l'“interesse nazionale”. (Per inciso, va notato che la controparte di Mulford in Nepal, un certo signor Moriaty, appare chiaramente ancora più rozzo nella sua ingegnosità nel dire ai nepalesi come condurre i loro affari in questo frangente sensibile e riformulativo. Se potesse, lo farebbe potrebbero stare alle porte della sede del potere nepalese e impedire fisicamente agli esponenti della sinistra nepalese di entrare nei locali!)
La morale politica della congruenza tra i discorsi – degli alti ministri qui e del signor Mulford là – è fin troppo ovvia: i partiti di sinistra in India potrebbero avere con sé il mandato del popolo indiano, e potrebbero essere autorizzati dal Programma Minimo Comune dell'UPA, tale fatto deve essere inteso come sussidiario rispetto all'“interesse dell'investitore” aziendale di cui ha parlato il puntatore Mulford alla riunione delle Camere di Commercio. Chiaramente, laddove il presidente americano non si preoccupa di rubare le elezioni all’opposizione, difficilmente ci si può aspettare che il suo ambasciatore nutra un profondo rispetto per la sacralità democratica di uno stato “cliente” – o, in effetti, di qualsiasi stato.
È altrettanto, tuttavia, una realtà politica comprovata che i regimi che nutrono illusioni di grandezza permanente non sono mai più brutali e goffi di quando la terra comincia a scivolare loro da sotto i piedi.
Nonostante la spavalderia di Bush che è di nuovo in mostra con l’avvicinarsi delle elezioni del Senato e del Congresso americano, per ogni dichiarazione spavalda che fa oggi, una mezza dozzina di altre dichiarazioni vengono fatte non solo da individui e istituzioni contrari alla Casa Bianca repubblicana, ma da persone che gestiscono in un modo o nell'altro: affermazioni che contraddicono la spavalderia e iniziano a registrare alcune verità domestiche. La valutazione top-secret del capo dei servizi segreti dei Marines è la seguente: “le prospettive per proteggere la provincia occidentale di Anbar in quel paese sono deboli e (che) non c’è quasi nulla che l’esercito americano possa fare per migliorare la situazione politica e situazione sociale lì” (Tom Ricks, Washington Post).
Ricordate l'obiettivo della vittoria in Iraq? Assapora questo: “U.S. i funzionari riconoscono che il loro obiettivo principale in Iraq ora è impedire che il paese si trasformi in un luogo gestito da fondamentalisti che esportano il terrorismo nella regione” (Yochi J.Dreazen e Philip Shishkin, Wall Street Journal – tra tutti i giornali!).
Per farla breve, questi sono i fatti: l’America non solo ha perso la guerra in Iraq, ma ha ottenuto il magnifico risultato di consacrare l’Iran come suo guru politico e tutore! Gli imperialisti neoconservatori non sembrano riuscire nemmeno nell’obiettivo alternativo e nefasto di frammentare l’Iraq in tre regioni convenienti. Per quanto riguarda il petrolio, ormai da cinque anni, i famosi giacimenti iracheni non riescono a produrre quantità paragonabili nemmeno agli anni peggiori dell'era Saddam; né è probabile che, in tempi brevi, il nuovo, o ancora il nuovo governo in Iraq, renda i divoratori neoconservatori i signori dei giacimenti petroliferi iracheni. Questo per quanto riguarda Cheney e Halliburton. Gli iracheni stanno ora cominciando a dire apertamente che la soluzione baathista guidata da Saddam era un'opzione migliore.
In secondo luogo, l’invasione israeliana del Libano ha avuto l’ulteriore magnifica conseguenza di porre Hezbollah su un piedistallo meritatamente incontestabile, sul quale tutti i libanesi, compresi i cristiani e i drusi, giurano su di esso. Questa conseguenza a sua volta ristabilisce la Siria in un modo che sembrava inaspettato solo mesi fa, oltre a denunciare Israele come uno stato in difficoltà, di second’ordine, senza amici al mondo (ad eccezione degli Stati Uniti e dei fascisti dell’Hindutva in India). ).
Più vicino a casa, mentre il governo municipale di Hamid Karzai lotta per mantenere il controllo di Kabul, le decantate forze della NATO e dell’esercito americano insieme sono diffidenti ogni giorno di fronte alla rinascita dei talebani che, non lo sapete, si pensava fossero morti e sepolti a seguito della famosa invasione dell'Afghanistan. Oltre a ciò, la macchina di Al Qaeda sembra in grado di produrre allegramente un videomessaggio dopo l’altro col passare dei giorni, e Mushrraf-the-macho è costretto di fatto a firmare un accordo con i talebani nel Nord Waziristan secondo il quale non vi saranno più operazioni militari. sarà condotto nella regione! Le sue compulsioni domestiche lo costringono ora a rivelare il fatto sgradevole che i suoi più stretti alleati nella "guerra al terrorismo", vale a dire i Bush, avevano in poche parole minacciato di bombardare il Pakistan riportandolo all'età della pietra a meno che non avesse collaborato. nella suddetta guerra! Di conseguenza, questo baluardo strategico contro il “terrorismo” viene soprannominato un vergognoso “vigliacco” dai media pakistani. Quanto ancora il Pakistan rimarrà uno stato-nazione unificato comincia a essere una questione seria.
E allora, che dire della formidabile “alleanza internazionale” nella “guerra al terrorismo”? Con Blair ormai pubblicamente zoppo, e l'Italia che ricorda quali forze ha in Iraq, ora che il socialista Romano Prodi comanda lì, l'alleanza comprende Bush e le sue peggiori allucinazioni. Pensate che anche i sudcoreani così fedeli trovano il coraggio di chiedere il ritiro delle truppe americane dal loro territorio e di esprimere il loro desiderio di riunificazione con i loro fratelli etnici del Nord. Lo stesso vale per l’Asia orientale in generale, fatta eccezione per l’eccezione bianca del regime di Howard in Australia e di alcuni regimi di città-stato non democratiche (Singapore, Filippine, ecc.)
Per quanto riguarda i due “cortili”, l’America Latina e le ex componenti baltiche e centroasiatiche dell’allora Unione Sovietica, prevalgono consigli più saggi. I paesi latini generano regimi anti-americani attraverso le urne, e da questa parte dell’Atlantico anche l’Ucraina è perduta. In effetti, l'equilibrio politico dell'opinione pubblica a livello internazionale subisce un'alterazione così rapidamente che Chavez si attira applausi aperti e calorosi quando definisce Bush il “diavolo” nel suo discorso all'Assemblea generale delle Nazioni Unite. E Ahmadinejad in realtà ha la meglio sul centro della stampa internazionale a New York, stabilendo con forza e scherzosamente la realtà che molti reporter americani potrebbero in realtà non essere né liberi né intelligenti come forse erroneamente credono di essere.
Orrore degli orrori, quella cosa chiamata Movimento dei Non Allineati resuscita da tutti i posti a Cuba; e, che ci crediate o no, anche il Primo Ministro indiano sceglie di essere lì piuttosto che all'ONU di New York, e dire che quando ha incontrato Fidel Castro si è sentito alla “presenza di uno dei più grandi uomini di nostri tempi”, un’osservazione che deve aver decisamente neutralizzato il riferimento più opportunista di Singh alla natura innocua e benefica delle relazioni con gli Stati Uniti. A suo merito, il Primo Ministro indiano finora non ha mai ritenuto che il suo grande amico, George W. Bush, fosse qualificato per essere considerato vicino a Castro.
C’è da sperare che qualcosa dell’importanza storica del NAM e del ruolo cruciale che può ora svolgere per dare scacco alle depredazioni di un imperialismo americano in fallimento si riverserà su di lui al suo ritorno. È il NAM che deve ora rinnovare la lezione su cui la Costituzione americana basa la sua filosofia di governo, vale a dire l’opportunità di controlli ed equilibri, non solo all’interno degli Stati Uniti ma anche all’interno della comunità mondiale.
A proposito, è stato molto incoraggiante vedere che la lettera di Manmohan Singh ai capi ministri indiani alla vigilia della sua partenza colpisce con una nota di salutare e necessaria sanità mentale sulla questione della lotta al “terrorismo”.
Quella lettera, e alcune delle sue recenti dichiarazioni pubbliche, alla recente Conferenza dei Capi Ministri del Congresso, per esempio, mostrano la prova di un nuovo coraggio di fronte alle costruzioni imperialiste del “terrorismo”. Non solo il Primo Ministro indiano rinnega la nozione di “islamofascismo”, ma esprime anche la visione razionale secondo cui i disordini che affliggono i musulmani in tutto il mondo hanno cause specifiche e accertabili. È quindi chiaro che tali cause devono essere comprese e riconosciute, per quanto riguarda l’India, in una molteplicità di rimostranze e ingiustizie concrete nel tempo, e riparate di conseguenza. Va ancora una volta a suo merito che Manmohan Singh ha esposto una tesi simile nel suo discorso all’Assemblea generale delle Nazioni Unite. E la formulazione delle parti rilevanti della risoluzione del NAM è sufficientemente vaga da lasciare spazio all’interpretazione secondo cui anche le agenzie statali potrebbero essere fonti di terrorismo, senza escludere lo stato più potente del mondo.
Pertanto, i quindici punti che delinea nella sua lettera rispetto al welfare delle “minoranze” non si limitano ad affrontare questioni relative all’attuazione delle politiche, ma sottolineano la necessità primaria di rendere i musulmani indiani partecipanti inseparabili a quell’epocale rinnovamento come cittadini pienamente integrati la cui pretesa di Le verità costituzionali non sono seconde a nessuno. Questa è davvero la via da seguire e Manmohan Singh merita ogni elogio per aver ridefinito la problematica. Un simile ripensamento da parte dello Stato non può che imprimere grande fervore ed energia agli instancabili sforzi compiuti ogni giorno dagli organi laici e umanisti della società civile per trovare risposte alle inquietudini musulmane. Tali sforzi implicano il fondamentale riconoscimento che il futuro della nazione nel suo insieme è inestricabilmente intrecciato con il futuro delle minoranze.
Lungi dalla falsa tesi secondo cui la principale contraddizione del giorno è tra un mondo occidentale “illuminato” e un Islam “jehadi” – espresso più recentemente nientemeno che da Jason Burke, autore di Al Qaeda e Road to Kandahar – (Hindustan Times, 12 settembre 2006), resta il fatto crudo che la rapace partigianeria mostrata dagli americani e dagli inglesi nei confronti della storia dell’Asia occidentale e del Medio Oriente degli ultimi tempi è quasi la sola responsabile dei disordini in atto, non parliamo di Afghanistan e Pakistan. Se il Primo Ministro indiano avrà assorbito questa realtà, le conseguenze sia a livello internazionale che interno all’India non potranno che essere positive. È possibile che sia proprio per mantenere la costruzione dell’“islamofascismo” una preoccupazione in corso che l’America e il resto del mondo occidentale desistano dal contribuire a risolvere la questione palestinese? Si rendono forse conto che una volta che la questione sarà giunta al termine, l’immaginario dell’“islamofascismo” potrebbe crollare e incoraggiare l’idea che si possano trovare soluzioni ad altre disuguaglianze storiche? Che ne sarà allora del progetto imperialista di “dominio a tutto campo” sui frutti della terra?
Mentre il consolidamento politico mondiale contro l’imperialismo americano acquista forza, sostenuto, va detto, da quei coraggiosi americani che continuano a combattere la buona battaglia in nome degli ideali della Dichiarazione di Filadelfia e della Costituzione americana, nuovi e ottimisti a livello statale ci si può aspettare che gli allineamenti si materializzino. In quel nuovo ordine internazionale, Russia, Cina, India e America Latina insieme, insieme ad un Medio Oriente rinnovato, che include forse anche un Pakistan democratizzato – a meno che gli eventi non lo raggiungano in modo catastrofico – saranno in grado di dar voce alla forte Le convinzioni imperialiste che la sua società civile molto evoluta porta avanti anche adesso, possono mostrare la via d’uscita dalla follia a cui la “visione” neoconservatrice di un desiderato Armageddon ha assoggettato il mondo. Si spera che a quel punto un’America rimodellata possa diventare un partner nella ricostruzione del mondo in modi giusti e illuminati. A questo proposito, la speranza di tutti è che le prossime elezioni di novembre alla Camera e al Senato rappresentino una svolta sufficientemente chiara.
Secoli fa, il saggio bardo di Avon scrisse quel magnifico verso: “L'abuso della grandezza è quando separa il rimorso dal potere” (Giulio Cesare). L’agenda dei leader mondiali ora è quella di risposare rimorso e potere – un telos su cui anche il Papa ha bisogno di riflettere – qualcosa che potrebbe fare se si convincesse a guardare negli occhi i molti aspetti sgradevoli della storia del cristianesimo. . Il Pontefice potrebbe iniziare chiedendosi onestamente perché fu lanciata la prima crociata e quale sia stato il primato della spada cristiana da allora nei confronti di altre fedi e nazioni. Proprio come lo Stato e le sue istituzioni in America hanno bisogno di ritornare alle loro ispirazioni fondamentali, forse la Chiesa in Vaticano e il cristianesimo in generale farebbero bene a ritornare all’umanesimo gentile e non discriminatorio di Gesù. C'era un uomo.
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