Come la maggior parte dei navigatori non specialisti, non ho letto più di quella "buona parte" di Gandhi e non più di una ventina di libri su di lui. passaggio, lasciatemi dire, a grande rischio di ingiuria da parte degli studiosi di Gandhi, che il libro che mi sembra comprendere le sue imprese con maggiore sensibilità e intelligenza è quello di Ronald Terchek Gandhi: la lotta per l'autonomia 1998.
Se Gandhi fosse stato semplicemente una figura di tentativo di pietà e santità, il compito di rimetterlo in sesto sarebbe stato gestibile. Questo compito potrebbe essere stato raggiunto facendo riferimento solo a due affermazioni da lui fatte nel suo articolo sull’“Induismo” (Giovane India, 6 ottobre 1921, rptd in CFAndrews, Le idee del Mahatma Gandhi, Londra: Allen and Unwin, 1929, pp.35-42): “Non credo nella divinità esclusiva dei Veda. Credo che la Bibbia, il Corano e lo Zend Avesta siano altrettanto divinamente ispirati quanto i Veda”; e: “Mi rifiuto di vincolarmi a qualsiasi interpretazione, per quanto dotta, se ripugna alla ragione o al senso morale”. Da qui la sua avversione per l'intoccabilità, che considerava “la più grande macchia sull'Induismo” (YI, 27 aprile 1921), e ugualmente il suo appoggio al Varnashrama Dharma in stretta conformità con l'interpretazione da lui data, cioè che “le divisioni definiscono i compiti; non conferiscono alcun privilegio”. E “è, a mio avviso, contrario alla genialità dell’Induismo arrogarsi uno status più elevato, o assegnare a un altro uno status inferiore”.
E quando la sua convinzione avesse preso il posto della ragione, non si sarebbe lasciato convincere. Ad esempio, non sarebbe persuaso che l'intoccabilità provenisse in modo dimostrabile dalla logica del Varnashrama, o che lo schema complessivo di quell'organizzazione sociale fosse basato intrinsecamente su disequilibri di status. Nella misura in cui per lui l'induismo comprendeva soprattutto Ramcharitmanas e la Bhagavatam, importava che ci fosse anche il Purusa Sukta nel Rig Veda oppure Manu Smriti, i testi indù più formativi sull'argomento, che rendevano insensata la costruzione di Varanashrama e l'intoccabilità di Gandhi.
Tale approvazione totalmente personalizzata o resistenza rigida a verità storiche/testuali selettive, come Ambedkar avrebbe scoperto, poteva essere associata solo a qualcuno per il quale la “ragione” abbracciava molte categorie di percezioni: un sentimento caro, il buon senso, una verità osservabile. Quindi, se da un lato “Varnashrama non è affetto da intercene o matrimoni misti”, “la proibizione contro i matrimoni misti e le intercene è essenziale per una rapida evoluzione dell’anima”, proprio come “un indù che rifiuta di cenare con un altro per un senso di superiorità travisa del tutto la sua religione indù”. (Ibid.,) Se tutto ciò ti lascia con i piedi per terra, nessuna colpa ti ricadrà. La coerenza, concorderebbe Gandhi, è lo spauracchio delle menti piccole. In definitiva, come è stato spesso detto, la verità delle sue affermazioni poteva essere trovata solo nella sua pratica piuttosto che nelle strenue dimostrazioni della teoria. E nella sua pratica raramente veniva trovato carente.
Gandhi fu sempre, ovviamente, straordinariamente onesto; e soprattutto alla sua percezione di se stesso. Come nel riconoscere di essere stato prima un praticante e un politico e solo dopo un santo.
Proprio il fatto che i suoi esperimenti con le scritture e l'etica si intrecciano con la sua immersione in uno dei momenti collettivi più complessi e conflittuali della storia moderna rende qualsiasi valutazione su di lui una questione della massima difficoltà, persino di frustrazione.
Ad esempio, quando alla fine arrivò a guidare uno dei movimenti anticoloniali più importanti del ventesimo secolo, era chiaramente impegnato in un progetto di “modernizzazione”. Eppure pochi professionisti della politica di massa hanno problematizzato il progetto della “modernità” come fece Gandhi. O, contemporaneamente, della tradizione. A quelli di noi per i quali la “modernità” costituisce inequivocabilmente un’episteme monocromatica, Gandhi offre molti ostacoli nel modo in cui ne ha approvato le disposizioni o le ha rifiutate. Anche in questo caso non ci sono risposte semplici, né per i modernizzatori né per i tradizionalisti.
I tradizionalisti che cercano di appropriarsi di Gandhi per un paradigma di costruzione storica “antioccidentale” e radicatamente “indigeno” devono trovare difficile far conciliare i seguenti fatti con quel paradigma:
–che, nonostante i tabù e gli ostacoli dei genitori e della società, viaggiò non solo in Inghilterra per studiare, ma da allora in poi in Sud Africa e in altri paesi;
–che ha utilizzato pienamente le moderne strutture come le ferrovie, il telegrafo, la stampa;
–che “si sforzò umilmente di seguire Tolstoj, Ruskin, Thoreau, Emerson” e altri pensatori “occidentali”, e non rifiutò mai esplicitamente i loro insegnamenti o le loro pratiche in nessun momento;
–che ha passato il testimone a un modernizzatore come Nehru piuttosto che scegliere Patel per l'onore;
–che sottoscriveva incondizionatamente la nozione di “uguaglianza”, criticando ogni aspetto della tradizione che la contraddicesse;
– che, come tanti “indù laici” di allora e di oggi, vedeva nell’Hindu Mahasabha e nell’RSS i maggiori danneggiatori della causa;
–che i suoi più stretti sostenitori alla fine non provenivano dalla tradizionale classe dei proprietari terrieri ma dai rampolli della nascente borghesia nazionale;
– che la sua preoccupazione per i musulmani sembrava prevalere su quella per la sua stessa comunità, o che il suo progetto di fede includeva le loro scritture e quelle di altre “minoranze” religiose; o che, essendo devoto all'induismo come dichiarava di essere, avrebbe dovuto dare la vita per l'idea secolare;
– o che abbia fatto così sfacciatamente esperimenti sessuali su se stesso, giacendo a letto con giovani donne per verificare se la sua astinenza fosse stata raggiunta.
E i “modernisti” devono essere ugualmente frustrati da un’altra serie di fatti:
–che la sua devozione all’“uguaglianza” non avrebbe dovuto essere vista da lui contraddetta dal suo appoggio al Varanashrama Dharma;
– che invece di incoraggiare gli “intoccabili” a organizzarsi e resistere, avrebbe dovuto consigliare loro di vivere una vita pura, di sopportare le barbarie inflitte loro dai falsi profeti e di ricordare che Dio li ha amati particolarmente (motivo per cui li ha chiamati “ Harijan”); o che desiderasse rinascere un “Atishudra” (gli intoccabili senza casta) per soffrire ciò che soffrono ed espiare i peccati dei loro oppressori;
–che avrebbe sempre dovuto preferire la matita alla dattilografa, o argomentare con forza contro la “marcia della tecnologia”;
–che avrebbe dovuto feticizzare la mucca come ha fatto, equiparandola Swaraj con la protezione della mucca, o con la propaganda del vegetarianesimo come alto principio morale; o negato l'iniezione di antibiotici alla moglie in base al principio che sarebbe un esercizio inquinante;
– che avrebbe dovuto opporsi in tal modo al concetto e alla pratica di un’opposizione giustamente violenta e, per molti indiani, “eroica” all’oppressione coloniale come fu intrapresa da giovani idealisti come Bhagat Singh e altri “rivoluzionari”, o fare piuttosto poco per persuadere i padroni coloniali a non metterli a morte (salvo una lettera al Viceré, che, pur chiedendo attenuanti, riconosceva che secondo la legge meritano di essere puniti);
– oppure, che avendo portato le donne indiane fuori dalla loro casa e dal loro focolare per partecipare al movimento per la libertà, la portata della sua definizione di libertà per loro avrebbe dovuto essenzialmente rimanere incorporata in diverse disposizioni di “Sanatana Dharma”, sostenendo Sita come ideale.
Sembrerebbe che qualsiasi comprensione di Gandhi sia come individuo che come leader di uomini e donne debba includere un complesso affascinante, anche se frustrante, di contrari spesso inseparabili. Dal più profondo impegno verso alcune ortodossie emersero alcune delle sue non-ortodossie più creative, sia nella sfera religiosa, culturale o politica del pensiero e dell'attività.
Una modernità che sembrava congelata in un momento della storia occidentale (la Rivoluzione francese) è stata in parte avallata e in parte respinta. Si cercò a sua volta di reinserire l’approvazione dell’uguaglianza negli aspetti della tradizione “indiana” così come Gandhi scelse di costruirli. Se la tecnologia liberò l’agente umano dal lavoro senz’anima venne avallata (la macchina da cucire); se minacciava di costringere e costringere l’agente umano all’automazione, trasformando la libertà e l’autonomia in comodità meccanicistica e schiavitù, veniva rifiutato. Se la Natura veniva oggettivata e sfruttata per la “prosperità” veniva vista come un’impresa malvagia; inteso come entità organica e intelligente, potrebbe essere utilizzato per un beneficio salutare per l'umanità. Sorprendentemente, a Gandhi sembrava di scarsa utilità esaminare la modernità occidentale come un matrimonio tra la ragione e il capitalismo. Oppure esaminare come il capitalismo, in quanto forma particolare di organizzazione sociale, abbia viziato sia la ragione che l’uguaglianza. Preferirebbe di gran lunga rimproverare il capitalista di essere un “materialista” e fare appello alla sua coscienza morale affinché agisca come “fiduciario”, dato che Dio gli ha concesso munificenza. Tutto questo sostenendo anche che voleva le stesse cose dei bolscevichi, tranne che i loro metodi non gli piacevano.
Allo stesso modo, qualsiasi aspetto della tradizione che ostacolasse l’uguaglianza ordinata di tutti gli uomini e le donne sotto la benevola dispensazione di Dio era ripugnante; o che sostenesse la supremazia di una religione rispetto a un'altra, anche se la devozione personale di Gandhi all'induismo rimaneva tristemente trascendente.
Soprattutto c'era la forza dell'esempio: il coraggio e la disponibilità a vivere le proprie convinzioni indipendentemente dall'opinione sociale o dalla paura della calunnia. L’unica cosa che alla fine deve spiegare l’influenza che Gandhi esercitò in una matrice priva di convinzione. Tutto ciò sposato con una prassi non acquisitiva, arricchita dalla dimostrata disponibilità a prendere parte al lavoro più meschino e ad elevarlo così alla dignità, e ad affrontare la sofferenza personale su base continuativa. Solo infettando così i milioni di persone che, secondo Gandhi, una nuova nazione avrebbe potuto emergere non come entità territoriale ma come entità morale degna di emergere.
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