Nel 75° anniversario della Nakba palestinese, sembra opportuno pensare a come gli eventi del 1948 abbiano plasmato non solo la storia del popolo palestinese, ma anche la sua attuale realtà coloniale.
Per i palestinesi la Nakba è un “materia spettrale” – per usare una frase introdotta per la prima volta dal professore di sociologia Avery Gordon. È diventata una forza psichica che tormenta incessantemente il presente.
L’infestazione, come spiega Gordon, è uno dei modi in cui forme di potere oppressive continuano a farsi conoscere nella vita di tutti i giorni.
La Nakba – lo spostamento di 750,000 Palestinesi dalle loro case ancestrali in Palestina e la distruzione di 500 villaggi e città – non è semplicemente un evento accaduto circa 75 anni fa.
Come insistono molti palestinesi, si tratta anche di un processo in corso caratterizzato da forme durature di violenza sanzionata dallo Stato. È qualcosa che le forze sioniste continuano a praticare. Infatti, ogni volta che un palestinese viene giustiziato dai soldati israeliani o una casa la cui costruzione ha richiesto anni di lavoro viene demolita, questo specifico atto di violenza non solo sconvolge, ma evoca anche il ricordo della Nakba.
La permanenza della Nakba è diventata evidente quando, a febbraio, vigilantes ebrei hanno compiuto un pogrom nella città palestinese di Huwara e, invece di condannare il crimine, il ministro delle Finanze israeliano Bezalel Smotrich lamentato che le forze statali, piuttosto che i privati cittadini, dovrebbero cancellare i villaggi palestinesi.
Ma la strategia dello stato israeliano di creare nuovi ricordi di violenza tra i palestinesi e garantire così che la Nakba rimanga una presenza costante sembra contraddire la sua politica ufficiale di negare che sia mai avvenuta.
Funzionari israeliani e attivisti filo-israeliani hanno ripetutamente respinto il termine, definendolo una “menzogna araba” e una “giustificazione del terrorismo”. Le autorità israeliane hanno anche cercato di sradicare ogni riferimento pubblico alla Nakba.
Nel 2009, il Ministero dell’Istruzione israeliano ha vietato l’uso di questa parola nei libri di testo per i bambini palestinesi.
Nel 2011, la Knesset ha adottato una legge che vieta alle istituzioni di organizzare eventi commemorativi della Nakba. Questa legge è in realtà un emendamento alla Legge sulla Fondazione del Bilancio e fonde qualsiasi cerimonia che segna la Nakba – ad esempio, una scuola superiore pubblica a Nazareth – con l’incitamento al razzismo, alla violenza e al terrorismo e con il rifiuto di Israele come Stato ebraico e democratico.
In altre parole, lo Stato israeliano considera estremamente pericoloso il tentativo palestinese di ricordare e preservare consapevolmente la Nakba a memoria d’uomo ed è quindi determinato a penalizzare chiunque svolga tali cerimonie pubbliche.
Israele, tuttavia, non è realmente interessato a imporre un’amnesia sociale sugli eventi del 1948, ma mira piuttosto a plasmare e controllare la memoria palestinese.
La strategia è chiara: garantire, attraverso atti quotidiani di violenza, che i palestinesi restino perseguitati dalla Nakba, affinché non dimentichino ciò che Israele è capace di fare. Allo stesso tempo, però, lo Stato fa ogni sforzo per impedire ai palestinesi di decidere come ricordare questa storia in pubblico, per timore che utilizzino forme di commemorazione per incitare la gente contro il dominio coloniale.
Questa politica paradossale – in bilico tra memoria e commemorazione, dove la prima è continuamente riprodotta e la seconda è bandita – è una componente essenziale della logica coloniale-coloniale che mira a cancellare violentemente la storia e la geografia dei popoli nativi per giustificare la loro spostamento e sostituzione da parte dei coloni.
La soppressione della Nakba come evento storico degno di commemorazione fa parte dello sforzo di Israele di invertire la storia dell'espropriazione coloniale. Il timore di Israele è che le cerimonie della Nakba possano indebolire la narrativa sionista che presenta i coloni ebrei come vittime perpetue della violenza palestinese e rivelare, invece, le orribili forme di violenza che le forze sioniste impiegarono nel 1948 e stanno ancora impiegando per raggiungere il loro obiettivo.
In altre parole, Israele mira anche a controllare la narrazione della storia per promuovere il quadro morale sionista.
Questo obiettivo è però destinato a fallire. Israele può proibire ai suoi cittadini palestinesi di commemorare gli eventi del 1948 in cerimonie pubbliche, ma per loro e per i loro fratelli della diaspora in tutto il mondo, la Nakba non è mai morta; non è nemmeno passato.
Finché quella di Israele obiettivo eliminare l’idea di una nazione palestinese – attraverso il genocidio, la pulizia etnica o la creazione di enclavi e ghetti – non è stata pienamente realizzata o, in alternativa, completamente negata dal raggiungimento dell’autodeterminazione da parte dei palestinesi, la Nakba continuerà a servire sia come presenza spettrale e come parte concreta e integrante della struttura coloniale di Israele. La Nakba potrà essere superata solo quando il progetto coloniale dei coloni raggiungerà la fine.
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