Mentre il petrolio continua a riversarsi nel Golfo del Messico, solo una delle tante manifestazioni del pericoloso degrado ecologico in tutto il pianeta, la necessità di sfidare la guerra e il militarismo, soprattutto per quanto riguarda gli Stati Uniti, diventa sempre più pressante. L’esercito americano è il più grande consumatore mondiale di combustibili fossili e l’entità maggiormente responsabile della destabilizzazione del clima terrestre.
I costi del militarismo e della guerra degli Stati Uniti sono alti e molti. Oltre al crescente bilancio delle vittime civili e militari in Iraq e Afghanistan, ad esempio, il totale dei fondi stanziati dal Congresso per le due guerre ha superato la soglia dei mille miliardi di dollari il 30 maggio. Tra gli altri potenziali acquisti, secondo il National Priorities Project con sede a Northampton, Massachusetts, una somma così enorme potrebbe fornire assistenza sanitaria a 294,734,961 persone per un anno.(1) Invece, i soldi sono dedicati alla morte e alla distruzione, tutto in il nome di “sicurezza nazionale”, arricchendo notevolmente gli appaltatori militari.
I costi di cui raramente si sente parlare – almeno qui negli Stati Uniti – sono i danni ambientali associati che si verificano regolarmente e sistematicamente. In effetti, è molto più comune venire a conoscenza degli sforzi del Pentagono per “diventare ecologici”.
A marzo, il Center for American Progress, ad esempio, ha riferito della “grande ristrutturazione ecologica” dell’edificio del Pentagono. Una volta completato nel 2011, "i 25,000 membri del personale militare e civile del Pentagono non solo lavoreranno in uno dei più grandi edifici per uffici del mondo", si legge nell'articolo, "ma anche in uno dei più efficienti dal punto di vista energetico e sostenibili dal punto di vista ambientale."(2)
Al di là dell’edificio stesso del Pentagono, l’esercito americano sta “facendo passi avanti per combattere il cambiamento climatico”, afferma il sottotitolo di un rapporto del Pew Charitable Trusts del 2010.(3) Nel frattempo, il presidente Obama ha recentemente esaltato gli sforzi dell’esercito per ridurre il consumo di carburante attraverso tecnologie che utilizzano biocarburanti, in particolare l'aereo da caccia FA/18 della Marina, soprannominato il Calabrone Verde per le sue presunte credenziali ecologiche, e il veicolo corazzato leggero della Marina.(4)
Questo “greenwashing” aiuta a mascherare il fatto che il Pentagono divora circa 330,000 barili di petrolio al giorno (un barile ha 42 galloni), più della stragrande maggioranza dei paesi del mondo. Se l’esercito americano fosse uno stato-nazione, sarebbe al 37esimo posto in termini di consumo di petrolio, davanti a quelli di Filippine, Portogallo e Nigeria, secondo il Factbook della CIA.
E sebbene gran parte della tecnologia militare sia diventata molto più efficiente in termini di consumo di carburante negli ultimi decenni, la quantità di petrolio consumata giornalmente da ciascun soldato in tempo di guerra è aumentata del 175% dal Vietnam, dato il crescente utilizzo da parte del Pentagono e il numero di veicoli a motore. veicoli. Uno studio del 2010 di Deloitte, la società di servizi finanziari, riporta che il Pentagono utilizza 22 galloni di petrolio al giorno per soldato schierato nelle sue guerre, una cifra che si prevede aumenterà dell’1.5% annuo nel 2017.(5)
Il colpevole peggiore è l’Aeronautica Militare, che consuma 2.5 miliardi di galloni di carburante per aerei all’anno e rappresenta più della metà del consumo energetico del Pentagono. In normali condizioni di volo, un aereo da caccia F-16 brucia fino a 2,000 galloni di carburante per ora di volo. L'impatto dannoso che ne risulta sul sistema climatico terrestre è molto maggiore per miglio percorso rispetto al trasporto terrestre motorizzato, a causa dell'altezza alla quale volano gli aerei combinata con la miscela di gas e particelle che emettono.(6)
Tra gli aspetti ironici di tutto ciò, dato che un obiettivo centrale della strategia militare statunitense è quello di garantire il regolare flusso di petrolio verso gli Stati Uniti, c’è che il vorace appetito di energia del Pentagono aiuta a giustificare la sua stessa esistenza e una crescita apparentemente infinita.
In senso diretto, la guerra e il militarismo producono paesaggi ed ecosistemi di violenza – e corpi violati. In Laos, gli ordigni inesplosi provenienti dai bombardamenti segreti e illegali di Washington ricoprono le campagne e hanno ucciso e mutilato migliaia di persone dalla fine della guerra, e continuano a farlo al ritmo di quasi una persona al giorno. In Vietnam, dalla metà degli anni '500,000, sono nati circa 1970 bambini vietnamiti con difetti congeniti ritenuti legati al defoliante Agente Orange che il Pentagono ha scaricato nel paese. E nella Fallujah devastata dalla guerra, le conseguenze dei due assedi statunitensi della città irachena nel 2004 hanno visto un enorme aumento del numero di deformità croniche tra i bambini e un picco di tumori in età precoce.(7)
Al di là dei luoghi direttamente presi di mira dalla guerra, gli effetti negativi del consumo militare delle risorse ambientali non rispettano i confini territoriali. Essi aggravano una crescente crisi ambientale su scala globale. Dal degrado degli oceani del mondo, al forte declino della biodiversità e all’intensificarsi della destabilizzazione climatica, la guerra e il militarismo minacciano l’umanità e la vita in generale in modi senza precedenti.
Tali “costi” ecologici non si limitano certamente alle attività delle forze armate statunitensi. Ma dato il suo impegno in molteplici guerre, una rete di centinaia di basi militari in tutto il mondo e dozzine di altre negli Stati Uniti, e un budget ora più o meno equivalente a quello di tutte le altre forze armate del mondo messe insieme, il Pentagono deve essere il centro focus degli sforzi per proteggere la biosfera sfidando la guerra e il militarismo. Più che mai, l’umanità – e Madre Terra – non possono più permetterseli.
(1) http://www.nationalpriorities.
(2) http://www.americanprogress.
(3) http://www.pewtrusts.org/our_
(4) http://www.aero-news.net/
(5) http://www.deloitte.com/us/
(6) http://www.guardian.co.uk/
(7) http://www.guardian.co.uk/
Joseph Nevins insegna geografia al Vassar College di Poughkeepsie, New York. È autore di diversi libri. Il suo più recente è "Dying to Live: A Story of US Immigration in an Age of Global Apartheid", pubblicato nella serie Open Media di City Lights Books. http://www.citylights.com/book/?GCOI=87286100601600
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