FIRENZE — Sarebbe sempre stata una ricetta per il caos. Prendiamo 40,000 esponenti della sinistra europea, irritabili nel migliore dei casi, li infiliamo in una città italiana dell’epoca rinascimentale e diamo loro di discutere, in una mezza dozzina di lingue, dello stato del mondo e delle possibilità di cambiarlo.
E il caos certamente lo era, ma del tipo da cui provengono le rivoluzioni.
Il Forum Sociale Europeo ha occupato questa città per cinque giorni, dal 6 al 10 novembre. I suoi partecipanti, francesi, spagnoli, tedeschi, inglesi, scozzesi, polacchi e soprattutto italiani, stipati nell'enorme Fortezza da Basso, nelle sue sale conferenze come hangar di aerei, si affrettavano a prendere le cuffie per i traduttori e si sforzavano di ascoltare discorsi su ogni argomento immaginabile, da dalla guerra al terrorismo, alla privatizzazione, all'OMC, alla nonviolenza.
Tra una sessione e l'altra, si radunavano nel grande cortile principale della Fortezza, compravano giornali di sinistra in 10 lingue, passavano davanti a innumerevoli bancarelle informative, facevano lunghe file per cibo, bevande e servizi igienici e ammiravano a vicenda le magliette di Che Guevara.
Quando la Fortezza non riuscì a contenerli tutti, si riversarono in laboratori e seminari praticamente in ogni luogo pubblico della città e in ogni strada in mezzo, riempiendoli di persone che indossavano targhette di registrazione rosso vivo al collo.
Di notte riempivano al massimo gli hotel della città e poi si diffondevano sui pavimenti degli stadi di calcio, degli ippodromi e delle palestre.
E nel suo momento più alto e storico, il sabato pomeriggio, i partecipanti al Forum si sono trasformati in una semplice avanguardia, mentre forse un milione di persone si riversavano da autobus e treni da ogni angolo d'Italia e d'Europa per inondare le strade e le piazze di Firenze in uno spettacolo imponente. di contropotere alla guerra e all’Impero.
La marcia è stata di proporzioni sconcertanti, anche in un paese più abituato a ciò di altri. Il fronte del corteo ha lasciato la Fortezza alle 1, due ore prima dell'orario ufficiale di partenza. È stato solo alle 7.30:9 che il gruppo di affinità in cui mi trovavo, stanco dei piedi, a due terzi del percorso di ritorno, ha raggiunto il punto finale a circa cinque chilometri di distanza. Alle XNUMX c'era ancora la folla che si accalcava al punto di partenza e che non se n'era andata.
Per tutto il percorso, l'unica cosa che potevo vedere, anche nelle strade secondarie, erano persone, striscioni rossi, kefiah palestinesi al collo e bandiere arcobaleno della "Pace", l'unica cosa che potevo sentire erano le canzoni partigiane italiane e quel ruggito sordo che si sente quando si è enormi molte persone parlano con la persona accanto a loro.
Il risultato del Forum è stato una straordinaria vittoria per il “movimento dei movimenti” europeo – una dimostrazione di forza che sarà difficile da superare.
È stato anche uno schiaffo molto duro in faccia per il governo italiano di Silvio Berlusconi, che aveva cercato di suscitare un’atmosfera di paura nel periodo precedente, evocando immagini di giovani arrabbiati che mettevano in fiamme la città di Dante. I media di destra sono intervenuti con gioia: sotto lo slogan “Assalto a Firenze”, la rivista Panorama ha pubblicato una foto di copertina del David di Michelangelo, che si trova in un museo a pochi isolati dal luogo della conferenza, truccato come un Black Bloc-er, con tatuaggio anarchico, casco e bandana rossa e nera.
Anche l'associazione imprenditoriale locale si è unita, invitando i suoi membri a chiudere le saracinesche per tutta la durata dell'iniziativa. E circa 20,000 carabinieri, la polizia paramilitare italiana che durante la protesta del G8 di Genova lo scorso luglio uccisero il giovane anarchico Carlo Giuliani, furono schierati nelle strade.
Alla fine l’“aggressione” non è mai avvenuta. L'enorme folla aveva solo intenzioni pacifiche, anche se comunque rivoluzionarie, e i carabinieri erano o troppo spaventati o troppo saggi per farsi vedere.
Ma la vittoria del Forum va oltre l’enorme dimostrazione di forza: mostra che il movimento globale è al centro di un processo sociale davvero profondo che non può che rendere il mondo irriconoscibile.
Al di là dell’ovvia “strade inondate di gente”, forse l’analogia più calzante è con l’acqua.
Non puoi fermare l’acqua che scorre in discesa. Puoi costruire muri contro di esso: funziona. Ma alla fine l'acqua scorre intorno, sotto o sopra di loro. Puoi tagliare i canali per deviarlo: funziona anche questo. Ma i corpi d'acqua separati hanno un modo per trovare la loro strada l'uno verso l'altro e alla fine l'acqua arriva comunque alla sua destinazione predeterminata, dopo aver raccolto più affluenti lungo il percorso.
Lo stesso vale per questo movimento dei movimenti: è inarrestabile e, man mano che corre in discesa, raccoglie in sé più forze e più discorsi, più questioni e più movimenti.
Ciò è emerso chiaramente dallo straordinario numero di questioni discusse nel forum. Sì, erano tutti “specifici” – questo atto di repressione in questo luogo, quel movimento di autodeterminazione in quel luogo, questa lotta sindacale in quest’altro luogo – ma erano anche allo stesso tempo generali, consapevolmente una parte di un quadro più ampio. Il processo di globalizzazione ha fuso processi precedentemente separati in uno solo, e così facendo ha reso le connessioni tra questioni, lotte e movimenti molto più evidenti.
La cosa più evidente è stata il modo in cui il Forum ha affrontato la guerra. L’anno trascorso, il più pericoloso finora del movimento, l’anno di Genova, dell’11 settembre e di Bush dilagante, non lo ha sconfitto, come senza dubbio speravano i suoi avversari.
Ma non lo ha nemmeno deviato, come anche alcuni all’interno del movimento temevano o sostenevano. Il movimento non si è “trasformato” da movimento contro il neoliberismo in movimento contro la guerra. Non si è “trasformato” dall’opposizione a istituzioni apparentemente “esoteriche” come l’OMC o il FMI in un’opposizione a qualcosa di apparentemente più “tangibile”, la guerra.
No, quello che è successo a Firenze è che il movimento preesistente, il movimento contro la globalizzazione aziendale, esso stesso una coalizione di movimenti, semplicemente confluisce e porta in sé un nuovo movimento, contro la guerra. E così facendo non si è diluito e nemmeno ristretto, ma si è piuttosto approfondito e radicalizzato, rendendo ancora più evidente la sua natura di movimento contro il capitalismo stesso.
“La Guerra” di Firenze non è stata solo l’atrocità inflitta all’Afghanistan, né il crimine contro l’umanità che sta per essere perpetrato contro l’Iraq. Era “la guerra permanente globale” – la guerra globale permanente. Sono stati tutti quei tentativi degli Stati di reprimere il dissenso, in Cecenia, in Palestina, nei Paesi Baschi, nelle leggi dei paesi occidentali rivolte agli attivisti, nei muri costruiti per tenere lontani i richiedenti asilo e persino nella violenza economica quotidiana sui i poveri, i senzatetto, gli esclusi. La “guerra” era, semplicemente, la guerra del potere contro il popolo.
Ma questo non era semplicemente un forum di opposizione, era anche un forum di alternative, incarnato nel suo slogan in molte lingue: “Un’altra Europa è possibile”. Ciò di cui le persone si sono sforzate di discutere è stata la necessità di un assetto completamente diverso.
Sicuramente lo slogan, e il sentimento dietro ad esso, hanno avuto una buona diffusione. Ho perso il conto delle volte in cui gli oratori l'hanno usata per concludere, sempre con grande applauso, o addirittura il numero di volte in cui qualcuno ha detto qualcosa del tipo “Siamo contro la globalizzazione del capitale e per la globalizzazione della solidarietà”.
Ma il sentimento si diffuse all’estero anche in modi più profondi. Tanto per cominciare, le alternative e le soluzioni sostenute sono sempre state quelle globali, quelle universali: welfare universale contro privatizzazioni e disoccupazione, libertà di movimento universale contro la “Fortezza Europa”, cittadinanza universale contro il “Diritto Divino del denaro”.
Una mattina, guardando dal balcone il cortile della gente, però, una cosa divenne evidente. L’alternativa, l’“altra globalizzazione” di cui si parlava, non era solo possibile, un’utopia raggiungibile per il futuro. Esiste già: in questo movimento. Ciò che è emerso per cinque giorni a Firenze è stata quest'altra globalizzazione, la globalizzazione dal basso, il nuovo mondo alternativo che già sta prendendo forma sotto la superficie.
Il forum stesso è stato un potente esperimento di autogestione, gestito da migliaia di volontari stressati ma non per questo meno efficaci, ed è stato un esperimento riuscito di impollinazione incrociata, di scambio di idee, azioni e storie.
I movimenti sociali europei sono certamente avvantaggiati nel globalizzarsi. Esistono già profonde connessioni culturali tra i paesi, rese più profonde dagli ultimi decenni di costruzione politica ed economica dell’Unione Europea. Anche sul piano pratico non mancano certo le opportunità per un’azione comune paneuropea. L’Assemblea dei movimenti sociali europei, lo scorso 10 novembre, ha elaborato abbastanza facilmente un programma completo a livello europeo: proteste contro il vertice della NATO a Praga a fine novembre, a Copenaghen contro il vertice dell’UE a dicembre, a Evian, in Francia, contro il odiato G8 del prossimo luglio.
Ma l’Europa non è eccezionale, semplicemente corre avanti.
Nel tentativo di sfuggire alla crisi, i governanti del mondo hanno svelato un grande progetto: un mercato globalizzato sotto il loro controllo. Ma così facendo, hanno fornito ai popoli del mondo nuovi orizzonti di lotta e hanno aperto la porta a un processo di globalizzazione completamente diverso, nuovo e inaspettato.
A Firenze era chiaro che questa possibilità stava diventando realtà.