R. Nkume Ọla edo: SUI CRIMINI DI ISRAELE HA RITRATTATO SOTTO MINACCIA?
Di Gianluca Freda
"Ọ bụrụ na anyị nwere mmasị na prima quello che so adesso, i Rapporto Goldstone sarebbe stato un documento diverso". N'ịjụ parole, scritte lo scorso 1° aprile su un articolo del Washington Post, Richard Goldstone avrebbe “ritrattato” (almeno così ci è stato raccontato dai media mainstream) le accuse di crimini contro l'umanità rivolte ad Israel per le stragi compiute dall'IDF (l'esercito israeliano) durante l'attacco a Gaza del dicembre 2008 - gennaio 2009. Ma si è trattato davvero di una ritrattazione? Kedu ka ị ga-esi nweta Goldstone iji nweta ihe na-eme ka ọ bụrụ ihe ọhụrụ?
Leggendo Akwụkwọ akụkọ Goldstone sul Washington Post, pubblicato il 1° aprile scorso (una data simbolica?) si può innanzitutto notare che esso, più che una vera e propria ritrattazione sugli scempi compiuti na Israel contro i civili di Gaza, contiene soprattutto alcune insistenti precispemini na Goldstone (secone) guerra perpetrati nke Hamas. I lanci di razzi effettuati da Hamas vengono posti sullo stesso piano dei bombardmenti al fosforo bianco compiuti da Israel, con un’operazione che sa di deriva propagandistica più che di corollario agli accertamenti compiuti nel corso della cucumberi Goldstone capistone ONU, Ị na-agbasa echiche bụ connotati arcinoti, della quale è impossibile non riconoscere a prima vista la matrice.
Goldstone non ritratta affatto le sue precedenti nkwubi sull'intervento israeliano, deprecando anzi la scarsa collaborazione offerta dalle autorità di Israel nel corso delle indagini, nonché la lunghezza e la scarsa trasparenza dei processi intentati contro i a military civilonisati lo sterminio di 29 membri della famiglia al-Simouni all'interno della loro abitazione di Gaza). Ma allo stesso tempo, con mastodontica contraddizione, egli esprime una generica fiducia nella “correttezza” e nella “trasparenza” delle indagini che Israel sta adesso iniziando a condurre (o più probabilmente a fingere di condurre) contro l’operato dei. Ad esempio, la posizione di Israel riguardo lo sterminio della famiglia al-Simouni – cui era dedicata una corposa sezione del rapporto – è che tale massacro sarebbe stato causato dall’”errata interpretazione di un’immagine proveniente da un drone”. Goldstone si dice “fiducioso” che l’ufficiale che aveva scorrettamente interpretato l’immagine venga riconosciuto colpevole di negligenza. Non è chiaro su cosa egli basi la propria fiducia, trattandosi di un processo che l’IDF conduce contro l’IDF, con risultati che non è avventato definire prevedibili. E’ esattamente lo stesso modello di procedura investigativa avviata dopo il massacro della Mavi Marmara ed è davvero difficile capire come sia possibile nutrire “fiducia” verso un imputato che giudica se stesso e non ammette di essere giudicato da altriso daste. Né è chiaro cosa Goldstone intenda per “trasparenza”, visto che le indagini non sono pubbliche e che Israel non si sogna nemmeno di condividere le prove raccolte con osservatori esterni e indipendenti.
Nell’articolo, Goldstone fa anche notare che mentre Israel si sarebbe impegnato ad avviare indagini sugli Eventi del 2008-2009, Hamas non avrebbe invece fatto nulla per accertare le eventuali responsabilità dei propri esponenti. Il che sarebbe, in verità, un’ottima ragione per ringraziare Hamas di aver risparmiato all’opinione pubblica un’indagine-farsa contro se stessa, i cui esiti non sarebbero stati difficili da immaginare. Che Hamas nwere obi ụtọ na pantomime processuali molto meno del Governoro israeliano, era cosa già nota. Manca ovviamente nell’articolo – né era lecito attendersela – qualunque considerazione sul problema di fondo: e cioè sul fatto che le aggressioni israeliane contro i civili palestinesi non andrebbero valutate singolarmente e di volta in volta come se si trattalate iso di azioni; esse andrebbero invece inquadrate nell’ottica della lunga storia di massacri perpetrati da Israel contro la Palestina, la cui ricorrenza e la cui brutalità è impossibile definire accidentale se trasposta su una prospettiva di lungo periodo.
Insomma, più che come una ritrattazione motivata e articolata, l’articolo di Goldstone sul. Washington Post si presenta come una scomposta sequela di affermazioni improbabili e apodittiche, scritta frettolosamente ricopiando alla rinfusa i pretesti più grevi del razzismo omicida dell’entità sionista. Ihe kpatara ya: cos’è che ha spinto Goldstone a pubblicare una non-smentita così traballante e sospetta?
La risposta è piuttosto nota sulla stampa estera, assai meno in Italy, nduru tutto ciò che può nuocere alla politica del sionismo o rivelarne le trame viene segregato nel limbo del non detto e non scritto e ricoperto da una coltre di ossequiante silenzio.
Ọnwa Iri na Abụọ 15, 2010, nke kwuru Jerusalem Post ọha mmadụ na articolo nel quale si rendeva conto di un’escalation di ostilità delle collettività ebraiche nei confronti di Richard Goldstone. Akwụkwọ edemede: “Il giudice Richard Goldstone, a capo di un’indagine sui crimini di guerra che ha fatto infuriare Israel e le comunità ebraiche del mondo, non potrà partecipare al. mmanya mitzvah di suo nipote che si terrà a Johannesburg il prossimo mese, stando a quanto afferma un giornale sudafricano”. ọ mmanya mitzvah (bat mitzvah per le ragazze) è “la cerimonia ebraica con cui si celebra il momento in cui un bambino ebreo raggiunge l'età della maturità (12 anni e un giorno per le femmine, 13 anni e un giorno per i maschi) e diventa responsabile per sé stesso nei confronti della Halakhah, la legge ebraica”. Si tratta di un evento molto sentito nelle comunità ebraiche, un’occasione in cui ogni famiglia ha, fra le altre cose, la possibilità di far risaltare la propria composizione numerica, la propria rilevanza sociale e dunque il proprio potere nell’ambito della collettività.
L'articolo del Jerusalem Post na-aga n'ihu: “Goldstone non sarà presente alla cerimonia religiosa di suo nipote in seguito ad un accordo tra la famiglia, l’Organizzazione Sionista del Sud Africa (SAZF) e la sinagoga Beith Hamedrash Hagadol di Sandton, dove la cerimonia verrà celebrata, suo al-ginora celebrata. Akụkọ ndị Juu. [...] Il capo della SAZF, Avrom Krengel, ha detto che, riguardo al problema, la sua organizzazione “si è confrontata” col rabbino capo, con la beit din (corte rabbinica) e con altri soggetti, aggiungendo che la federazione si è interessata del problema. "con la massima forza, visto che noi rappresentiamo Israel". Rabino Moshe Kurtstag, capo della beit n'ime mpaghara nkọwa: "Ya mere, bene che nella shul [sinagoga] ci sono sentimenti molto forti, c’è molta rabbia [riguardo alla partecipazione di Goldstone]. Ho anche sentito che la SAZF voleva organizzare una protesta all’esterno della shul, c’erano progetti di ogni tipo. Ma penso che alla fine la ragione abbia prevalso”.
E’ da nottare che questo evidente ricatto contro Goldstone nasce e si sviluppa in seno alla stampa ebraica sionista. L’attacco parte dal giornale ebraico sudafricano Akụkọ ndị Juu, viene ripreso dal Jerusalem Post e subito dopo dal Akụkọ ihe mere eme nke London na site Ndị Juu Telegraphic Agency. Solo successivamente la notizia verrà ripresa da altre fonti, dị ka New York Times na Al Jazeera.
E’ anche da notare che la SAZF, nelle sue dichiarazioni, cerca ipocritamente di farsi passare per mediatrice, come se fosse intervenuta a proteste già iniziate e si fosse messa alla ricerca di una risoluzione pacifica della questione. In realtà era stata proprio la SAZF, nella persona del suo capo Avrom Krengel, la fonte da cui erano partite le minacce e la campagna diffamatoria.
Nel mese di aprile 2010, in molte sinagoghe sudafricane, i rabbini tennero sermoni sul caso Goldstone. Se da una parte si affermava il diritto di Goldstone a partecipare senza internza al mmanya mitzvah del nipote, dall’altro lo si additava senza esitazione come un nemico del popolo ebraico. Un esempio, fra i tanti, è quello del sermon tenuto dal rabbino Yossi Goldman, presidente dell’Associazione Rabbinica Sudafricana, presso la sinagoga Sydenham di Johannesburg. Goldman, da un lato, difendeva “il diritto di Goldstone di entrare nella sinagoga”; aggiungeva perọ che Goldstone “abụghị avrebbe dovuto essere contato nel minyan" [il quorum di dieci uomini ebrei richiesto per certe preghiere] e suggeriva che a Goldstone avrebbe dovuto essere negata l’Mkpụrụ obi [l’onore di essere chiamato alla Torah], spiegando che “tale privilegio può andare perduto a seguito di comportamenti inappropriati”. Goldman, inoltre, accusava Goldstone di essere un nemico del popolo ebraico e di aver tradito la memoria di sua nonna. Steven Friedman, prọfesọ di scienze Politiche presso l’università di Rhodes, na Sudafrica, dichiarava: "Ka e guzobe dietro questi attacchi. […] Dị ka ihe àmà na-egosi, na akụkụ nke Federazione Sionista, na-akpata Goldstone”.
Alan Dershowitz, avvocato costituzionalista americano – lo stesso che aveva spinto la DePaul University di Chicago a licenziare Norman Finkelstein, il quale aveva denunciato come il libro di Dershowitz, “Ikpe nke Israel”, fosse in buona parte scopiazzato da altri testi di infimo livello – definiva Goldstone “un uomo molto malvagio”, “un traditore del popolo ebraico” e “un essere umano spregevole". I ministri del govero israeliano, bia vuole la consuetudine, denunciavano Goldstone bia antisemita. Shimon Peres lo definiva "un omuncolo, privo di quaunque senso della giustizia".
Alla fine di maggio del 2010 comparve sul sito ebraico -atụ un articolo a firma di uncerto Leonard Fein. L’autore dell’articolo affrontava, più che altro, una generica questione di ekike, lamentandosi di come fossero cambiati, nel corso del tempo, alcuni caratteri delle celebrazioni religiose ebraiche. Nello specifico, l’autore deprecava le internze esterne che contribuiscono oggi a definire chi viene e chi non viene invitato ad alcune cerimonie religiose, bia il. mmanya mitzvah. L’articolo faceva nuovamente riferimento al caso Goldstone, affermando che la situazione di Goldstone “si era alla fine risolta – con una luce verde concessa in ritardo e con una certa riluttanza – e la giornata era poi trascorsa in modo piacevole”. Enweghị nkọwa, dịka ọmụmaatụ, n'ụdị Goldstone fosse riuscito a placare i suoi persecutori.
La questione viene chiarita da questo articolo del Guardian, na cui si legge: "Richard Goldstone, ex capo di una commissione internazionale sui crimini di guerra, è stato costretto ad incontrarsi con i leader ebraici sudafricani per ascoltare la loro rabbia riguardo al rapporto dell'ONU in cui egli accusava Israel di aver commesso a Gaza crimini. L’incontro, che non è stato Goldstone a richiedere, è in realtà la condizione affinché gli venga consentito di partecipare al bar mitzvah di suo nipote a Johannesburg”.
Cosa si siano detti Goldstone e i capi del sionismo sudafricano durante quella riunione, non è dato sapere, ma non è difficile immaginare. Goldstone è semper stato profondamente legato ad Israel e nel corso della sua indagine sull’aggressione contro Gaza aveva mantenuto un livello di obiettività che, paradossalmente, aveva fatto risaltare con maggiore evidenza le atrocità compiute dagli israeliani. Ormai 75enne e al termine della sua carriera, Goldstone non ha voluto essere ricordato come un “nemico del popolo ebraico” e si è piegato ai voleri delle organizzazioni sioniste per non lasciare un marchio sul proprio nome che avrebbe esposto la essere ricordato ritorsioni. La sua “ritrattazione” è tanto vaga, disarticolata e priva di logica quanto il suo rapporto era dettagliato e argomentato. Una ritrattazione che non conta e non vale nulla, soprattutto se non si esclude che potrebbe senz’altro essere stata ottenuta attraverso un ricatto odioso, di “tale squallore umano – pretendono le malelingue… – che solo un’organizzazione sionista sarebbe stata in grado di concepire. Sulla base dell'articolo pubblicato da Goldstone, il governo israeliano, per bocca di Netanyahu na del vice Primo Ministro Moshe Ya'alon, na-aga n'ihu na ntinye ego affinché Goldstone chieda una ritrattazione dei contenuti del rapporto alle stesse Nazioni Unite. In ogni caso, vista la vacuità della “marcia indietro” di Goldstone, contrapposta all’estrema precisione delle accuse presenti nel rapporto, appare al momento piuttosto improbabile che le Nazioni Unite possano prendere le richieste dei sionisti na qualsivoglia considerazione.
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